Tu sì che ci credi ai segni, cerchi da sempre di dare una connessione alle cose, un significato al destino. Ti aggrappi coi tuoi occhi liquidi al lato luminoso della vita, è una cosa che in parte appartiene anche a me e che ti è figlia.
Bene, lo sai cosa significa Raffaele, il significato del nome? Dio che guarisce.
Qualunque sia la risposta, sei nel posto giusto. Ti abbiamo portato al San Raffaele, a Milano, capitale morale d’Italia, in fondo tuo zio Lino era partito per la Svizzera come operaio e dopo con la pensione della Svizzera si era fatto una discreta posizione a Milano, dici sempre che una tua cugina è perfino diventata segretaria di Rizzoli, quello dei libri, non ci sei stata mai a Milano e ti portiamo adesso, che il fiato è corto, che respiri e pensi a quella roba nera che hai dentro, nella lastra io non saprei nemmeno vederla, ma tu hai il fiato corto e io ho cambiato colore.
Disfiamo le valigie, lo fai con mia sorella perché è una cosa che non richiede la mia presenza, inutile a tutto ciò che è di natura pratica non ho le vostre mani femminili nel piegare i pigiami, la vestaglia, abbiamo portato anche qualche vaso di conserva, arrotolato col pluriball che non si rompa – dei treni non c’è da fidarsi, basta una frenata brusca e ti trovi la biancheria tutta sporca di pomodoro –guarda, non si è rotto, quanta ansia per queste cose piccole, rilassati, mica è il cancro se si rompe un vasetto.
Però stasera ci mangiamo la pizza, non si cucina, ce la mangiamo in casa sui cartoni, tonno e cipolla, io prenoto il taxi che domani mattina alle 7 abbiamo il ricovero. Silvia scende a fumare, trova la scusa di portare giù il pattume, non sta bene fumare davanti a una mamma che domani si leva un pezzo di polmone.
Da piccolo ti promettevo tre cose, quando ero il tuo unico fidanzato: di andare assieme al concerto del primo dell’anno che fanno a Vienna, quello pacchiano che si battono le mani a tempo con la televisione per digerire la cena del trentuno, di venire a prenderti con la Ferrari e di portarti a ballare. Per il concerto della Filarmonica ho scoperto che è difficile, non solo per quanto costa, c’è proprio una lista per entrare nella sala dorata del Musikverein, pensa che in pratica i biglietti vengono sorteggiati con una lotteria, ci vuole culo. Per la Ferrari ormai non ci credi più, hai smesso di crederci da quando mi sono iscritto a Lettere Moderne invece che Giurisprudenza, da lì il mio pauperismo è stata una scelta ben evidente a tutti, anche a te purtroppo, che il giorno stesso in cui sono andato all’università hai dovuto imparare come si ricarica una postepay, per farmi sopravvivere.
Però il pagliaccio posso farlo stasera
Di nuovo per te.
Metto gli occhiali da sole Persol, li ho comprati per guidare e poi non guido mai, tu ridi perché è sera e ho gli occhiali da sole e la camicia bianca e hai già capito, è partito il mio Rocky Roberts, quel balletto che faccio sempre quando parto per Roma e non ci vediamo per mesi, che facevo da bambino, dalla prima vota in cui ho visto Rocky Roberts alla televisione, il programma si chiamava Una rotonda sul mare, vecchie glorie sul viale del tramonto si esibivano e a me bambino colpiva soprattutto Rocky Roberts, che cantava con la voce da nero, le parole un po’ storpiate, ma come ballava, scivolava, la giacca lucida, i fiati alle spalle:
“Quante volte mi credevo che
E invece no, e invece no
Tu guardavi tutti meno me
E io credevo invece che
Ho deciso che mi butterò
E qualche cosa combinerò
Questa volta non ci sono se
Fermi tutti, adesso tocca a me
Stasera mi butto
Stasera mi butto
Mi butto con te
E faccio di tutto
E faccio di tutto
Per stare con teeee”
Ridi, ridi che poi guarisci, succede sempre così, vero?
Che se non vivi tu io inciampo sei solo tu che mi hai insegnato quello che il filosofo dice sia essenziale per non inciampare, «vedere che dobbiamo restar fermi alle cose del pensare quotidiano», mentre gli altri cadono.
Ma stanotte non ci serve Wittgenstein per stare meglio, abbiamo bisogno di ballare, di Rocky Roberts, mamma.