L’estate ti piomba addosso, senza avvisare, e ti lascia senza respiro. E così, dopo aver passato tiepide notti a dormire con il pigiamino leggero, ti ritrovi senza quasi accorgetene a dormire nudo avvolto da un ardente e soffice abbraccio. Bussa alla porta e ti consegna un castello di sabbia nelle cui stanze puoi trovare speranze e illusioni che, come ogni anno, verranno dissolte dalla brezza di settembre. Adoro l’estate. Adoro dormire senza la necessità di dover indossare alcun indumento per ripararti dal freddo. Vorrei che l’estate non finisse, vorrei avere il potere di congelare l’estate. E invece mi capita di rincorrere a perdifiato, a bordo di una bicicletta, quell’eterno treno delle stagioni che viaggia all’impazzata e puntualmente sfugge via per ripresentarsi senza esitazioni l’anno successivo. Sempre uguale e sempre diverso. 50 anni fa lo stesso treno faceva tappa a Monterey, una piccola località da sogno proibito di frontiera fra le braccia della California. Quell’anno il treno trasportava un’estate un po’ particolare che in molti chiamarono la “summer of love” e che portava in dono, oltre al solito carico di chimere e aspettative, un evento chiamato Monterey International Pop Festival. Erano gli anni in cui la musica aveva ancora la sua relativa importanza sociale e culturale e le rivoluzioni sembravano non solo possibili, ma anche a portata di mano. Il 17 giugno del 1967 Janis Joplin aveva 24 anni e girava da diverso tempo gli Stati Uniti insieme alla sua band, i Big Brother. Il riscontro del pubblico era scarso e, tranne in poche occasioni, i suoi concerti erano assiepati solo dai pochi addetti ai lavori. Anche gli organizzatori del festival non si aspettavano un particolare successo per la cantante nata a Port Arthur, tanto da collocare la sua performance nel pomeriggio di sabato, solitamente non lo slot riservato ai nomi più attesi. Sul palco la statura smilza e gracile della giovane Janis si contrapponeva alla voce intensa e a tratti crudele, così potente e profonda da lasciare tutti senza respiro, al punto tale da convincere gli organizzatori a farla esibire nuovamente la stessa sera. L’esibizione di Janis fu incendiaria e divenne il trampolino di lancio per la carriera, purtroppo troppo breve, di una delle più espressive voci della storia della musica. Con Summertime ci hanno provato un po’ tutti. L’aria composta da Gershwin nel 1935 si presenta come uno standard jazz che suona come una canzone popolare animata da suggestioni blues e, proprio per la sua natura poliedrica, si presta particolarmente a rivisitazioni e riletture. La stessa Janis presenta diverse arrangiamenti dello standard e, sebbene l’interpretazione in studio presente nell’album Cheap Trills sia notevolmente riuscita, per me esiste una sola versione di Summertime ed è quella live. Su internet c’è il video della performance di Janis registrata a Stoccolma nel ’69 e in quella versione c’è dentro tutta la mia estate. Quell’attacco di tromba e clarinetto, con quei suoni brevi e secchi che sembrano saltellare come lucciole che si rincorrono, si cercano e si ritrovano in una notte estiva. Mi rivedo da piccolo, sul lungomare di Roseto a rincorrere mio nonno con la mia prima biciletta rosa e blu. Mi rivedo in una giornata dell’arte di oramai troppi anni fa, a rincorrere un amore ingenuo. Mi ritrovo adesso, seduto in balcone, a rincorrere me stesso. Poi i suoni si allungano, si dilatano e lasciano spazio alla chitarra. E’ tutto morbido e tenero quando entra la voce di Janis. Nel video ha gli occhi chiusi e sembra sorridere fra sé e sé, forse anche lei stava pensando alle lucciole. Li riapre solo per un attimo, con uno sguardo di pietra, quasi avesse visto davanti tutto il suo passato e magari è meglio tornarsene a sognare ad occhi chiusi. Così come il bambino del testo che viene invitato a sognare, a spiegare le proprie ali e a pensare che in fin dei conti la vita è semplice, che il cotone nei campi è ben alto e che niente potrà fargli del male. Delle volte mi sembra di rincorrere quel treno in bici ma poche volte mi sembra di essere esattamente allineato alla locomotiva. Quando ascolto la versione live di Summertime mi sembra di viaggiare fianco a fianco al treno delle stagioni. D’inverno non mi capita di aver voglia di ascoltare Summertime, non si tratta di una autoimposizione o di un capriccio, non ne ho proprio voglia. In primavera inizio a canticchiare in testa il motivo centrale e d’estate sento l’urgenza di catapultarmi nel mondo di Janis. Se mentre state leggendo è estate, prendetevi 5 minuti del vostro tempo e dedicateli alla visione del live a Stoccolma del ’69. Se invece non è estate, beh vi basta aspettare pochi mesi, il treno non manca mai il suo appuntamento.
Janis Joplin – Summertime, Filippo Ricci
